Che cos’è un clichè? Uno stereotipo. Un’immagine banale per definire una cosa. Qualcosa di facilmente riconoscibile nell’immaginario collettivo per identificare una realtà che non si sa spiegare altrimenti. O più semplicemente qualcosa che non si conosce e per evitare una brutta figura si riassume sommariamente con un clichè. Uno dei miei preferiti è quello sugli italiani: pizza, mandolino, mamma e mafia. Magari per quanto riguarda il mandolino entriamo nel campo del ridicolo e del buffo visto che i tempi sono cambiati, ma per tutto il resto mi sa che non ci allontaniamo molto dalla nostra stessa parodia.

Qualcuno potrebbe avere da obbiettare su questa mia analisi degli usi e costumi dei miei connazionali e quindi, per tagliare la testa al toro, cambio rotta e prendo il classico esempio riconoscibile da tutti e universalmente apprezzato: i francesi.

Ammetto con poco entusiasmo che la potenza della suggestione indotta da stereotipo ha rovinato più di una vacanza, estiva e non, a causa dell’esperienza tutt’altro che romantica che ho vissuto e, purtroppo, Parigi è una di queste. Chi sulla faccia della terra non ha un’idea romantica, libertina e affascinante della capitale francese? Probabilmente quelli come me che hanno sbattuto il grugno sulla dura realtà.

Siate buoni, non fraintendetemi… Parigi è bellissima: tra arte ad ogni angolo, architettura sontuosa saggiamente conservata e storia regale ad ogni passo c’è poco da lamentarsi.

Ma in effetti l’animo romantico di ogni donna (e non solo le donne) viene solleticato da anni di clichè in formato a righe bianche e nere come le magliette a manica lunga che indossano i riluttanti giovanotti bohemiens, con diaboliche barbette, che fumano appoggiati ad un lampione a gas in una notte buia e fumosa.

O magari ci si perde nei clichè che hanno lo stesso colore nero intenso del basco, floscio, calcato sul viso di una giovane parigina, con le fattezze della B.B., che si allontana frettolosa con la borsa della spesa (di Chanel naturalmente) colma di insalatina fresca ancora umida, baguette appena sfornata, un ciuffo di ravanelli e, ovviamente, una copia de Le Figaro. O magari legge Sartre? Di sicuro mi manca il sottofondo della malinconica fisarmonica sulla Rive Gauche.

Ok, so per certo che qualcuno ha sorriso. E ha fatto bene, l’immagine che ne ho tratto io è parecchio diversa, al mio ritorno, ho coscientemente scelto di ignorare la sistematica maleducazione dei parigini e il loro odio feroce per l’inglese. Figuriamoci l’italiano. In compenso ho mangiato deliziosi e soffici pancakes tutti americani e finalmente assaggiato lo sciroppo d’acero e trovato una piccola coloratissima ma suggestiva vineria che si rifiuta categoricamente di vendere vino francese.

Comunque c’è chi di clichè ne ha vissuto per un po’ e chi, con questi, ci ha pagato le bollette. Gustav Johansson è il regista e direttore artistico della campagna pubblicitaria più romantica e suggestiva che abbia mai visto. Con ordine partiamo con il dire che si tratta della nuova campagna proozionale per la EF che sponsorizza le sue sedi nel mondo con un claim azzeccatissimo che recita “live the language”. Lo scopo della campagna è facilmente intuibile: vivere la città e viverne la lingua. Per capire un paese, usi e costumi e per imparare la lingua ci si deve andare. I protagonisti sono i ragazzi che viaggiano e incontrano le difficoltà e le gioie di conoscere persone nuove, divertirsi e imparare. Forse il messaggio più potente è lo stare insieme e conoscere gente nuova… a me è venuta voglia di partire e fare quella vita lì!

Ad ogni modo il regista ha catturato in pieno lo spirito romantico che ci si aspetta di vivere quando si è studenti e si parte per scoprire qualcosa di sconosciuto e il clichè è il modo migliore per vendere qualcosa che non si conosce. Il prodotto è molto ben costuito anche grazie all’intervento tipografico di Albin Holmqvist che in diversi punti chiave sparsi per la narrazione fissa alcune frasi o espressioni conditi con una grafica minimal ma ricchissima di significato. Godetevi lo spettacolo e se le avete passate come i ragazzi del video non può che scapparvi un sorriso.

La regia è di Gustav Johansson, il direttore della fotografia è Niklas Johansson, la grafica di Albin Holmqvist e la musica di Magnus Lidehäll. La casa di produzione è la Camp David Film. Se vi è venuta voglia di viaggiare questa è la EF Language Schools.

Che bello questo progetto che con un gusto un po’ retrò recupera l’animo romantico e avventuriero dello studente bohemien che c’è in noi. Qual’è il vostro preferito? Il mio naturalmente è Parigi.

A proposito dell'autore

Valentina

Ciao sono Valentina art director, blogger e amante del tè. Mi piace scoprire cose nuove e amo la creatività sotto tutte le forme, cerco spunti creativi e risorse per il mio lavoro e sono convinta che anche tu sei così. Mi sbaglio?

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