Sottotitolo: scommetto che Toulouse-Lautrec non polemizzava mai con il direttore del Moulin Rouge.

Capita molto spesso che a un grafico vengano fatte proposte oscene. Non oscene nel senso di lascive e oscene a che vedere con il sesso, ma nel senso vero e proprio del termine. Osceno, inguardabile, impossibile da proporre anche sotto acido e con ubriachezza molesta.

A voi non capita? Girando qua e la su qualche forum che raggruppa i poveri grafici italiani, sembra proprio che proposte di questo genere siano all’ordine del giorno (se possibile anche peggio), quindi con il tempo che passa ho ben imparato che mi posso consolare visto che le mie disgrazie sono ben condivise.

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Nella mia modesta esperienza ho imparato che quando si ha a che fare con un nuovo cliente (proveniente da diversi campi… poco importa, sono tutti uguali) tutto quello che riguarda la promozione diventa un dramma. La regola che universalmente accomuna le forme di vita “cliente” è: non hanno le idee chiare. Mai.

Solo quando ti sei fatta il mazzo per cercare di trarre un senso dai vaghi e sconnessi mugolii che loro chiamano “spiegazione di cosa voglio” e solo dopo che gli hai tirato fuori con le pinze una frase di senso compiuto, accompagnata spesso da ampi gesti delle braccia, allora (e solo allora) capiscono cosa vogliono. Quando gli si presenta il progetto, al quale non hanno minimamente partecipato, gli si chiariscono immediatamente le idee e così, finalmente, ti criticano.

Ho da poco scoperto che è un classico, di nuovo mi consolo perchè non capita solo a me.

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Con il teatro ho spesso problematiche simili, anche se non tutti i soggetti con cui devo interfacciarmi usano lo stesso atteggiamento, non vuol dire che la loro idea di fondo sia diversa da quanto descritto sopra.

Tanto per cominciare danno tutti per scontato che il loro volere è verbo. Spesso quello che chiedono è esteticamente osceno come abbinamenti cromatici da daltonici (spacciati per avanguardia artistica) oppure vecchiume polveroso che fa tanto classico. Ma il mio preferito in assoluto, quello che mi fa perdere i sensi ogni volta che lo sento, è: tutto su una pagina.

Questo di solito succede con i manifesti e con le rassegne, spiego le regole:

  • bisogna creare una locandina di formato standard.
  • Mettere le fotografie degli artisti sgranate, con smorfie, vecchie, mosse, ecc… “Non è un problema vero? Tanto fa tutto il computer”.
  • Il manifesto deve contenere i dati di ogni singola persona che partecipa al progetto, scritto bene perchè altrimenti il tecnico delle luci si risente.
  • Ci vuole un tema grafico forte che identifichi il tema della rassegna: il 90% dei casi non esiste. Il restante 10% coinvolge tutto lo scibile universale.
  • Ci vuole una bella immagine divertente, ma non troppo, e colorata, ma non troppo. Deve piacere a tutti, dal bimbo in bici al nonno sul girello.
  • Parole d’ordine: sobrietà, eleganza e creatività.

Non c’è niente da fare… gli italiani sono un popolo di artisti.

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Chi più, chi meno la pensano tutti così e le richieste si fanno sempre più assurde. Quando, con il tempo, si perde l’entusiasmo per il proprio lavoro si scopre che è colpa dei “progetti da scribacchino” come questi. Ammetto che a volte la tentazione di non impegnarmi è forte. Poi, per fortuna del cliente, passa. ;)

Eppure basterebbe solo un pò di lettura o di ricerca per capire da soli che le proprie idee sono sbagliate. Come nasce un manifesto pubblicitario? Qual’è la sua storia? L’invenzione del poster infatti è vecchia, almeno quanto il bisogno di comunicare alle masse, non conosco la data precisa, ma è sicuramente plausibile pensare che siano nati con l’invenzione della stampa. Passare da manifesti senza immagini che comunicano decreti e proclami di qualche famiglia reale, scritti fitti e in bianco e nero, ai coloratissimi poster teatrali con ballerine stilizzate con i nutandoni ben in vista o bellissime fanciulle dagli eleganti profili e capelli ondulati al vento.

Il passo è lunghissimo ma quel genere è ancora attualissimo e, secondo me, molto efficace.

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La mia idea sulla comunicazione di un evento come una rassegna teatrale è come un buon vestito da donna: bello ed elegante tanto da desiderare toglierlo. Come a dire? Io mi fermo a guardare i manifesti perchè conosco il gruppo che suona, o vedo una bella foto, o c’è una scritta che mi incuriosisce e di solito quello che si vede è poco niente, di conseguenza quello che mi interessa me lo vado a cercare per altri canali.
L’unico motivo per cui mi fermerei mai a guardare un manifesto come quello che vuole il cliente è per criticarlo ferocemente.
Less is more. No?

A proposito dell'autore

Valentina

Ciao sono Valentina art director, blogger e amante del tè. Mi piace scoprire cose nuove e amo la creatività sotto tutte le forme, cerco spunti creativi e risorse per il mio lavoro e sono convinta che anche tu sei così. Mi sbaglio?

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